Si è arrivati a quella che reputo l’unione più fallimentare
della storia della casa di Borgo Panigale al termine di un corteggiamento fatto
più dai suoi amici che dal pilota. C’era un cronista che decantava, urlando, le
magnifiche sorti e progressive della moto rossa.
Rossi nel 2010 accusò Stoner di non impegnarsi alla guida
della Desmosedici.
Jeremy Burgess candidamente dichiarò che gli sarebbero
bastati diciotto secondi per sistemare la Ducati. A questo aggiungete che per
anni è stato scritto che il Vale vantava tra le sue doti quelle di essere un
fine collaudatore e di saper guidare sopra i problemi. C’è, poi, una narrativa
sul pilota di Tavullia ricca di testi sui secondi nascosti nel polso, sulle
vittorie frutto solo delle sue qualità.
Vi ricordo alcuni passi dell’autobiografia “Pensa se non ci
avessi provato”: In Sudafrica era finalmente apparso chiaro a tutti quale fosse
l’importanza dell’uomo, cioè del pilota, nello sviluppo di una moto da corsa,
nella sua messa a punto, nella sua prestazione in gara…..Gli altri cercano
scuse e sono bugiardi quando sottolineano che vinci solo perché hai una moto
migliore…La nuova idea che mi stava girando per la testa: dimostrare che è
soprattutto il pilota che fa la differenza.
Con queste premesse alla Ducati avranno pensato: “Stoner
chi? Ma sì, lasciamolo andare alla Honda, tanto da noi viene il dottore”. Dopo
non aver accettato il fatto che Jorge Lorenzo alla Yamaha avesse lo stesso
trattamento, Valentino Rossi firma per la casa italiana.
Mutò in alcuni l’atteggiamento verso la Ducati che da casa
che vinceva nel 2007 perché aveva un serbatoio nascosto nel telaio, si
trasformò in squadra da sostenere.
C’era finalmente un italiano su un’italiana nella Motogp,
quindi tutti ad urlare forza Italia! Capirossi non è italiano? Questo per lui
perché non vale?
Solennemente vennero mandate in onda le immagini del primo
approccio ducatista a Valencia; neanche il Papa al primo incontro con la
papamobile ebbe tanto clamore.
“Ciao Desmosedici sono qui….Ciao Valentino sono qui per te,
andiamo, partiamo insieme….In bocca al lupo a questi gioielli…Un gioiello
umano, un gioiello tecnologico…Il miglior pilota, forse di tutti i tempi, su
una delle moto più affascinanti, più in grado di trasmettere emozioni che la
mente umana abbia mai concepito” così commentò un emozionato Guido Meda. Negli
stessi istanti Casey Stoner su una moto non sviluppata da lui rifilò un secondo
e mezzo alla coppia del secolo.
Fermi tutti; c’era la spalla che frenava Rossi, quindi
cauti. Il primo anno passa così cautamente che….veniva creata la sezione
recupero telai per le innumerevoli versioni di questo elemento create.
Si diceva che la moto non motava per colpa del telaio
monoscocca in carbonio e del motore con funzione portante. Alcuni, me compreso,
fecero notare che Stoner, a dispetto di un impegno limitato, con quella moto
aveva vinto tre volte e per nove volte era salito sul podio. Ci accusarono di
blasfemia e ci diedero degli impazienti;
in fondo Valentino Rossi era stato ingaggiato per vincere e per rendere
guidabile la moto anche a chi non ha il 46 sulla carena. Il lavoro suo e di
Jeremy avrebbero dato i primi frutti da metà stagione, giusto il tempo di dare
alla spalla di tornare a fare il suo lavoro. In quei mesi in Ducati sfornarono
tante evoluzioni che tutte quelle degli anni precedenti, se sommate, non
arrivano ad eguagliare.
Le vittorie non solo rimangono una chimera, ma il podio
resta un miraggio se non in quel di Le Mans. Per discolparsi Rossi sostenne che
Casey non aveva sviluppato la moto nell’anno precendente e quindi erano
indietro….nel mentre Stoner sulla Honda volava e coglieva successi dietro
l’altro. Quel Stoner che durante l’ultimo anno ducatista, dopo la prova di
Misano, ripagò il semplice cambiamento di una forcella con tre primi posti.
L’apoteosi si raggiunse quando Nico Cereghini, nel
commentare l’ennesima caduta di Rossi mentre si accingeva a sorpassare Alvaro
Bautista, esclamò: moto di merda! Rossi, invece di difendere la creatura della
quale guidava lo sviluppo, accolse il complimento con una risata. In quelle ore
Stoner si laureava campione del mondo.
Giunge la stagione 2012. La Ducati rivoluziona per
l’ennesima volta la Desmosedici ed adotta la soluzione del telaio doppio trave
in alluminio. Rossi e Burgess, in fondo, questo chiedevano per andare forte.
Dopo il primo test una bella notizia: Rossi sente la moto sua, perché ideata
dietro le sue direttive. Fa niente che questo ritornello è stato cantato in
passato altre volte. Rossi esulta perché con la Rossa arriva a fare quello che
lui vuole; la moto gli piace!
Ora non ci sono scuse, si è sulla buona strada. E’ bastata
la prima gara di Losail che il pilota non solo rimangia quello che ha detto, ma
enuncia che ha finito le speranze.
In Ducati invece di licenziarlo, come in qualsiasi altra
azienda si farebbe con chi dopo aver percepito 14,5 milioni di euro le prende
pure dal rincalzo, signorilmente incassano le accuse e continuano a lavorare
sodo. Chi aveva invitato a tifare per il duo italiano, è ritornato sulle sue
posizioni di “critica a prescindere” contro la moto.
Termino la cronistoria del fallimento giallorosso, perché i
risultati parlano chiaro.
A mio avviso se il matrimonio del secolo si è trasformato in
una farsa, è perché entrambi i coniugi hanno sbagliato. Le dosi di colpe vanno
suddivise in maniera uguale tra i due attori.
Rossi, però, non ha mai fatto un sincero mea culpa, ed anzi
di fronte alle accuse di una certa claque sulla presunta somiglianza della
Desmosedici ad un cancello, ha taciuto. Per la claque è impossibile che un nove
volte campione del mondo abbia in merito delle responsabilità; le colpe
risiedono tutte alla Via Antonio Cavalieri Ducati 3 di Bologna.
Invito costoro a ripassarsi la storia della Ducati e
studiare le imprese centrate dal piccolo Davide italiano. Alcuni miei colleghi
nell’intento di nascondere le evidenti colpe del numero 46, hanno sostenuto la
tesi bislacca che essendo la sua Ducati quella che ha tagliato maggiormente per
prima il traguardo, lui sarebbe esente da critiche. Premesso che non gareggiava
al Desmo Challenge, ma chi sono gli altri ducatisti? Senza offesa per loro, ma
non vedo dei fenomeni. Per la cronaca quest’anno prima dell’incidente, Hayden
era avanti in classifica. Rossi, poi, non era stato ingaggiato anche per far
andare forte gli altri ducatisti? Mi ha fatto rabbia veder trattare in pessimo
modo una casa gloriosa come la Ducati, solo perché bisogna difendere il proprio
beniamino. Fa niente se un’analisi obiettiva avrebbe imposto altre critiche e
che ci siano in gioco oltre mille lavoratori. Fa niente se pur di dire non è
colpa sua, si è detto che le moto da gara le sanno fare solo i giapponesi. Non
fa niente perché per questi manipolatori della realtà parla la storia.
I fatti dicono di imprese epiche che il Davide tricolore ha
scritto sull’asfalto delle piste di tutto il mondo. Capita a tutti di sbagliare
e nella fattispecie gli sbagli sono reciprochi. Morale della brutta favola: questo
biennio ha dimostrato che quanto scritto sulle doti miracolose del dottor Rossi
erano fantasie. C’è una cantilena numerica che impazza sui social network: 9
titoli qua, 9 titoli lì, 9 titoli olè! I 9 titoli che ha vinto nessuno glieli
toglie. Non limitiamoci, però, a contarli e pesiamoli.
Gli ultimi due anni hanno svelato il loro reale peso
specifico.
ALFREDO DI COSTANZO