MUSEO DUCATI


Introduzione
Nello stabilimento di Borgo Panigale su un’area di 1000 mq, rivive la storia delle competizioni Ducati.
Presentato il 12 giugno 1998 in occasione della prima edizione del WDW (World Ducati Week), e ufficialmente inaugurato il 16 ottobre dello stesso anno, il Museo Ducati raccoglie le testimonianze di oltre mezzo secolo di competizioni dell’Azienda e una cospicua parte della storia dell’Azienda di Borgo Panigale, fondata dai fratelli Ducati nel lontano 1926.
Dal Cucciolo alla Desmosedici la storia è raccolta in un particolare e alquanto originale ambiente caratterizzato da un grande casco rosso centrale a cui fanno da corona 33 mitiche moto poste su una pista illuminata.
L’excursus storico è stato organizzato in sette stanze tematiche multimediali da Marco Montemaggi, originale Direttore del Museo, e poi da Livio Lodi, oggi Curatore del Museo. Ogni stanza regala emozioni senza tempo che rivivranno grazie ai filmati d’epoca, agli accessori, ai cimeli e ovviamente alle moto che ricostruiscono la storia di Ducati a 360 gradi.
“E’ una vera e propria macchina del tempo” dice Livio Lodi “attraverso la quale le vecchie generazioni di appassionati rivivono i fasti di un’epoca che sembrava scomparsa, mentre le nuove generazioni scoprono quanto vasta, ricca e importante sia la storia della Ducati. Finalmente, un grande sogno si avvera per tutti coloro che amano le rosse di Borgo Panigale”.
La progettazione e la direzione lavori del Museo è stata affidata agli architetti Pietrogrande e Martera con Studio Associato, mentre la realizzazione è di ICET.
Vieni a scoprire il glorioso passato di Ducati: una tradizione impareggiabile di innovazione, stile italiano e vittorie sportive iniziata nel 1926.

La struttura del Museo Ducati
Questa esposizione permanente tratta l’evoluzione sportiva dell’azienda di Borgo Panigale, cercando di ricostruirne, tappa dopo tappa, i momenti più significativi.
La visita al Museo si apre con una esposizione su quanto Ducati ha realizzato prima di diventare un’azienda motociclistica, con una ampia panoramica su alcuni dei prodotti realizzati negli anni Trenta, un doveroso tributo ai fondatori della Società, i fratelli Bruno, Marcello e Adriano Cavalieri Ducati.
La storia inizia con il Cucciolo, primo motore di produzione Ducati nel lontano 1946, quando l’azienda si apre al mondo motociclistico.
Quindi si passa all’era Taglioni, cioè l’arrivo in casa Ducati del mitico ingegnere cui si deve l’applicazione del famoso sistema di distribuzione Desmodromica, che ancora oggi contraddistingue i motori Ducati.
Taglioni fu anche l’ideatore delle famose “Marianna” 100 e 125 Gran Sport, regine dei Motogiri d’Italia intorno alla metà degli anni ‘50.
Proseguendo nell’itinerario si incontra il gruppo di moto che descrive una stagione molto breve ma intensa, quella dei bicilindrici paralleli trialbero da corsa che segnano il debutto di un giovane pilota di nome Mike Hailwood™, di lì a poco leggendario.
Si ritorna poi ai monocilindrici derivati dalla produzione di serie, dove le Ducati raccolsero significativi successi.
La tappa successiva segna l’introduzione dei bicilindrici ad “L” a coppie coniche. Essa è sicuramente rappresentata da due gloriosi piloti: Paul Smart, vincitore della 200 Miglia di Imola nel 1972 e Mike Hailwood™, trionfatore al Tourist Trophy del 1978.
Si prosegue con l’arrivo del famoso bicilindrico Pantah con il nuovo motore “a cinghia”, che nasce sul finire degli anni ‘70 e da cui provengono le due pluripremiate TT2 e 750F1.
La storia continua con l’arrivo nel 1986 del rivoluzionario, e ancora attuale, motore quattro valvole Desmodromico. Il padre è un uomo il cui nome è da sempre legato al marchio Ducati, Gian Luigi (“Gigi”) Mengoli.
E’ con questo nuovo potentissimo motore che la Ducati, dal 1990, colleziona un successo dopo l’altro nell’insidioso Campionato Superbike, prima con la 851, in seguito diventata 888, poi ancora la mitica 916, via via arrivando ai giorni nostri con le attuali moto da competizione.
Il viaggio nella storia delle competizioni della Ducati termina idealmente nel “paradiso“ dove ogni appassionato può visionare l’ultima grande sfida che Ducati ha lanciato nel 2003 la Desmosedici, la nuova generazione delle moto da corsa realizzate a Borgo Panigale.
Il Museo Ducati è stato pensato in modo da offrire al visitatore una doppia lettura; la prima riguarda le moto sistemate cronologicamente secondo un percorso circolare, la seconda, in un percorso parallelo, le 7 sale tematiche che spiegano in maniera più approfondita i nove temi sopra citati.
Il progetto del museo è stato realizzato grazie al fondamentale contributo di collezionisti, piloti, appassionati e di tutto lo staff di Ducati Motor Holding, che hanno generosamente contribuito alla riuscita di quest’opera.
Il Museo Ducati è dedicato a tutti coloro che hanno offerto, dal 1926 ai giorni nostri, la loro conoscenza, opera e passione a questa Azienda, diventata un simbolo di successo in tutto il mondo.


Sala 1
Il Cucciolo, Il Capostipite
“Vieni con me, ti porterò sul Cucciolo, il motorino è piccolo ma batte come il mio cuor”.
E’ appena finita la seconda guerra mondiale, c’è una gran voglia di muoversi per lavoro e per svago ma scarseggiano i soldi.
L’economico micromotore della Ducati arriva provvidenzialmente sul mercato nel 1946 accompagnato da questa orecchiabile canzoncina diffusa dalla pubblicità radiofonica: darà un fortissimo contributo alla motorizzazione e sarà un enorme successo popolare.
Progettato in tempo di guerra da due fedelissimi collaboratori di Motociclismo, l’avvocato Aldo Farinelli e suo fratello l’ingegner Enzo Furio, grazie al cambio a due marce il Cucciolo può portare due persone e può affrontare le salite anche ripide di cui è ricca l’Italia. Inoltre, essendo a quattro tempi (con valvole in testa!), fa cento chilometri con un litro di benzina e non sporca le candele, mentre gli altri motorini, quasi tutti a due tempi, consumano di più e richiedono frequentemente la pulizia della candela.
Il Cucciolo viene prodotto in sei versioni continuamente migliorate dal 1946 al 1958. Come ricorda Bruno Ducati, uno dei tre fratelli fondatori dell’azienda, se ne faranno quasi un milione, compresi quelli costruiti su licenza all’estero. Un record.
Il Cucciolo entra nella storia non soltanto come riuscito mezzo utilitario. Saprà fare grandi cose anche nel turismo e nello sport: il raid Parigi-Tokio di 18000 chilometri nel 1949, i primati mondiali di velocità a Monza nel 1950, le vittorie di circuito di Zitelli (e tanti altri) a cavallo degli anni Cinquanta, la partecipazione alla Sei Giorni Internazionale di fuoristrada del 1951 con Tamarozzi, dimostrando così il suo alto potenziale.
E poi il Cucciolo ha un altro grande merito: quello di aver lanciato la Ducati nel firmamento motociclistico.

Sala 2
La famiglia Marianna
Le Ducati 100 e 125 Gran Sport sono una pietra miliare nella storia della Ducati, le capostipiti sia dei trionfi sportivi, sia di quelli commerciali.
Infatti, proprio con le Gran Sport - chiamate da sempre con l’affettuoso nome di Marianna - la Ducati aumentò i suoi successi nelle corse e da allora, nelle gare, divenne sinonimo di affidabilità.
Le Gran Sport furono progettate per partecipare alle lunghe gare di gran fondo, il Giro d’Italia e la Milano-Taranto, corse massacranti di migliaia di chilometri, dove mai nessuna si fermò per guasti meccanici quindi, da allora, Ducati significa robustezza.
Le Marianne erano tanto competitive che con poche modifiche furono usate nei circuiti di tutto il mondo, diventando, nel loro periodo, la spina dorsale della classe 125 in Italia e poi nel Campionato del Mondo, adottate da tutti i piloti privati ambiziosi.
Altro merito delle Gran Sport è quello che dal progetto magistrale dell’Ingegner Fabio Taglioni, il simbolo vivente della casa, derivarono le moto da Gran Premio della Ducati dell’epoca, le desmodromiche 125, a cui solo la sfortuna impedì di vincere il Campionato del Mondo del 1958.
La distribuzione desmodromica adottata per la prima volta sulle 125, è ancor oggi il cavallo di battaglia della Ducati, l’esclusività meccanica che la distingue da tutta la concorrenza mondiale e la pone al vertice per la sua raffinatezza tecnica.
Dalle Marianne poi derivarono i primi modelli stradali di grande successo commerciale della Casa: la serie delle monocilindriche monoalbero di varia cilindrata, che per anni e anni sono state ambite dai motociclisti di tutto il mondo.
Fra queste bisogna ricordare particolarmente lo Scrambler, la prima motocicletta adatta alla strada e al fuoristrada, che ha tracciato la via a tutte le infinite “Enduro”, così come sono storici i primi modelli desmodromici stradali, che a tutt’oggi, tanti anni dopo il loro apparire, sono sempre ambiti e ricercati dai competenti.
Infine, l’ultimo grande merito da ricordare della Marianna è quello di essere stata una fucina di campioni, che con queste moto dettero la scalata al successo. Ricordiamone solo qualcuno altrimenti l’elenco sarebbe troppo lungo: per primo Gianni Degli Antoni (che alla Ducati immolò il suo bene più grande), Bruno Spaggiari, Alberto Gandossi, Luigi Taveri, Francesco Villa, Romolo Ferri, Franco Farné, Giuliano Maoggi, Giuseppe Mandolini, tutti portarono le Ducati sul gradino più alto del podio.
Alla Marianna, all’ingegner Taglioni che la ideò, ai tecnici e ai meccanici della grande famiglia che la costruirono e la seguirono nelle corse, a tutti i piloti che la guidarono nei suoi trionfi, vadano i ringraziamenti di tutti i motociclisti sportivi, per le meravigliose emozioni che hanno donato.


Ducati “Siluro 100” (Vincitore di 44 record mondiali)
Gli anni Cinquanta videro una grande attività da parte delle Case costruttrici impegnate nella conquista degli allora popolarissimi record mondiali, utili a promuovere le vendite delle moto di serie.
Il 30 novembre 1956, sulla pista sopraelevata di Monza, si presentarono i piloti Mario Carini e Santo Ciceri che si alternarono alla guida di un “Siluro” mosso da un motore Marianna di 98 cc con distribuzione monoalbero; lo stesso motore della Gran Sport utilizzata nelle competizioni in pista e su strada. Alla fine della sessione crollarono la bellezza di 46 record mondiali conquistando non solo quelli della classe 100, ma anche i primati nella 125, 175 e persino nella 250.
La Marianna venne trasformata in mezzo da record con pochi interventi alla meccanica.
In pratica, l’unica modifica riguardava l’adozione di un carburatore Dell’Orto SS con diffusore da 25 mm al posto del 20 mm normalmente utilizzato.
Più significativa è la profilatissima carenatura in lega leggera d’alluminio (battuta a mano), progettata dall’ingegner Nardi al fine di garantire la massima penetrazione aerodinamica, che era fissata al telaio da un esile traliccio in tubi mediante silent-block, per evitare che le vibrazioni potessero danneggiare la carenatura.
La potenza massima di questa monoalbero era stimata attorno ai 12 cavalli a 10.000 giri. Oggi non sembrano molti, ma il “Siluro” Ducati, nel corso del suo giro più veloce, toccò una media di 171,910 Km/h.
Ma questa favolosa sessione di record si articolava sulla conquista dei primati che andavano dalla 50 chilometri alla sei ore, quindi si trattò di una ulteriore prova di affidabilità di questo piccolo motore capace di resistere per ore a sollecitazioni tremende.
I due recordman, Ciceri e Carini, prepararono il mezzo con l’appoggio della Ducati (presente in pista con l’ingegner Fabio Taglioni e il dottor Cosimo Calcanile, all’epoca ai vertici dell’azienda). Non erano dei piloti di punta, ma due buoni piloti: il primo aveva da poco iniziato l’attività sportiva, mentre il secondo vantava già una buona esperienza in pista e nelle gare di regolarità.

Sala 3
I Monocilindrici e Bicilindrici Paralleli Trialberi
I modelli di serie a “carter larghi” costituiscono il culmine della linea evolutiva dei monocilindrici Ducati con distribuzione monoalbero comandata da alberello e coppie coniche.
Diretto sviluppo della precedente famiglia a “carter stretti”, sono entrati in produzione nella primavera del 1968, con le versioni 250 e 350 (alle quali si è andata ad aggiungere l’anno seguente la 450), imponendosi immediatamente all’attenzione degli appassionati per le loro prestazioni e la loro raffinatezza tecnica.
Particolarmente famoso, al punto da essere ormai entrato nella leggenda, è stato lo Scrambler, venduto in decine di migliaia di esemplari.
Il modello sportivo era il veloce e filante Mark 3, che è stato ben presto affiancato dal Mark 3 D, dotato di testata con distribuzione desmodromica.
Con questa moto la Ducati diventava la prima Casa al mondo ad impiegare su modelli di serie motori con distribuzione desmodromica.
Il sistema monoalbero, con due bilancieri di apertura e due di richiamo è analogo a quello impiegato tuttora sui modelli con testate a due valvole.
Nel 1971 il Mark 3 D si è evoluto nel celebre modello denominato Desmo, sempre prodotto in tre versioni (250, 350 e 450), che, nell’ultimo periodo della sua storia, è stato disponibile anche con freno anteriore a disco.
Altri modelli rimasti famosi sono il 450 T/S e il 450 RT.
I monocilindrici a “carter larghi”, la cui produzione è terminata alla fine del 1974, si prestavano molto bene a essere potenziati, infatti in aggiunta ai pochi esemplari usciti direttamente dal reparto corse della Casa e utilizzati da piloti seniores come Bruno Spaggiari e Roberto Gallina, vanno ricordati quelli di serie che, trasformati in moto da competizione da abili preparatori, sono stati impiegati con successo sia in circuito sia nelle gare in salita.
La Ducati è famosa in tutto il mondo per i suoi monocilindrici e per i bicilindrici a “L” di 90°. Non bisogna però dimenticare le bellissime moto da gara degli anni Cinquanta e Sessanta, equipaggiate con propulsori a due cilindri paralleli. A partire dalla 125 Gran Premio del 1958 dal grandissimo potenziale, i “twin” paralleli si fecero rispettare nelle corse.
Tra tutti l’esempio più affascinante e redditizio é senza dubbio il 250 (in pratica risultante dall’unione di due 125 GP) utilizzato con successo da Hailwood™.
Questo bellissimo bicilindrico Desmo equipaggiò anche una moto che corse in Italia con Francesco Villa.

Sala 4
Motori Ducati con distribuzione a coppie coniche
La messa a punto del primo motore multicilindrico per la produzione ebbe luogo all’inizio degli anni ‘70, grazie all’innovativo progetto dell’Ing. Taglioni di un motore bicilindrico a L a 90° con distribuzione a coppie coniche.
Esso fu una pietra miliare che segnò il cammino della Ducati verso la sua attuale posizione di supremazia nell’engineering delle moto sportive.
Fino a quel momento la motocicletta Ducati con la più grossa cilindrata era una 450 monocilindrica.
L’avvento della gamma di motori bicilindrici a “L” da 750 cc, sviluppati sotto forma di prototipo attraverso le moto Grand Prix 500 cc che gareggiarono nel 1971, non solo ha consolidato la reputazione di Ducati come costruttore di moto di grossa cilindrata, ma ha anche portato diverse innovazioni di carattere tecnico.
Spinte dal primo motore desmodromico multicilindrico, la nuova 750 SS e le sue sorelle con valvole e molle, sono state le prime motociclette poste sul mercato ad avere due cilindri a L a 90° e l’albero motore trasversale. Questa soluzione consentiva una riduzione delle vibrazioni grazie al perfetto bilanciamento primario e una sezione frontale più stretta, caratteristica implicita in questo tipo di design.
Insistendo su un metodo più costoso, ma tecnicamente più sofisticato, di funzionamento delle valvole grazie all’albero conico verticale e alle camme in testa, Taglioni ha offerto ai clienti Ducati un propulsore degno di una moto da Gran Premio che, assieme a una ciclistica che deve il suo design alla leggendaria scuola britannica di costruttori di telai, ha consentito di realizzare un nuovo standard per una eccellente moto sportiva da strada.
La validità del nuovo design Ducati è stata sottolineata al momento del debutto in gara nella Imola 200 del 1972, quando i piloti Paul Smart e Bruno Spaggiari dominarono tutte le altre squadre per finire primo e secondo sulle versioni modificate da gara della 750 SS da strada.
Un anno dopo, nell’estenuante gara di resistenza “24 Horas” di Barcellona, che si corre sul circuito di Montjuic, situato nel centro della città, la versione a grande alesaggio del prototipo a 864 cc del motore con trasmissione a coppie coniche vinceva la sua prima vera gara, nelle mani di Benjamin Grau e Salvador Canellas.
La vittoria venne ripetuta nel 1975, annunciando il debutto del modello 900 SS derivato dalla stessa moto, la cui versione per la clientela sbaragliò le più potenti giapponesi multicilindriche per vincere la Daytona Superbike nel 1977, grazie a Cook Neilson.
Ma fu nel 1978 che la prima moto della famiglia delle bicilindriche a L ottenne la sua più grande vittoria, quando il leggendario Mike Hailwood™ scelse una Ducati per la gara che doveva segnare il suo rientro nell’Isola di Man, sconfiggendo il team Honda e vincendo la Formula 1 TT a una velocità record e su uno dei circuiti di gara più duri.
Era il coronamento ideale del successo per il “classico” motore Ducati bicilindrico a “L”, ma già l’Ing. Taglioni, con la sua tipica lungimiranza, stava lavorando alacremente sul suo successore con trasmissione a cinghia, il Pantah ...


Sala 5
La famiglia Pantah
Introdotto come un 500 nel 1979, il motore Pantah fu progettato dall’Ing. Fabio Taglioni e Gian Luigi Mengoli e rappresentò la base del programma Ducati di produzione e da competizione durante i primi anni ‘80.
Il design era così avanzato che rimase in produzione per molti anni.
Il Pantah, un motore a due valvole a singolo albero a camme in testa, utilizzava una trasmissione dell’albero a camme a cinghia dentata al posto della precedente trasmissione a coppie coniche.
Gli altri importanti sviluppi tecnici che contraddistinguevano il Pantah erano le valvole ad angolo di 60°, ispirate alle moto da corsa, e l’albero motore fuso in un pezzo unico. Queste caratteristiche miglioravano l’affidabilità e rendevano il design più adatto alle gare.
La prima versione di produzione fu la 500 SL, ma nel 1981 il Pantah diventò un 581 cc con il modello 600 SL.
Questo aumento di cilindrata consentì al Pantah di gareggiare nel Campionato Mondiale di Formula 2 TT, dove il pilota inglese Tony Rutter trionfò per quattro anni consecutivi, dal 1981 al 1984.
Nel 1982 il motore si era trasformato in un 597 cc ed era alloggiato in un telaio specifico da corsa.
Questo era il classico TT2, che nelle mani di Massimo Broccoli e Walter Cussigh vinse i Campionati italiani di Formula 2 nel 1981 e nel 1982.
Il compatto motore Pantah, alloggiato in un telaio di acciaio tubolare tipo TT2 con ammortizzazione a molla, doveva diventare il tratto caratteristico delle Ducati sportive da strada per molti anni a venire.
Il Pantah continuò a crescere e nel 1983 diventò un 650 SL.
In tempi più recenti le versioni da corsa sono tutte 750 e hanno ottenuto vittorie notevoli a Montjuich con Benjamin Grau, Enrique de Juan e Luis Reyes, e nel Campionato italiano di Formula 1 con Virginio Ferrari.
Nel 1986, Marco Lucchinelli conquistò la vittoria sul 750 cc TT1 a Daytona, Laguna Seca e Misano.
Nel 1985 vennero realizzate le versioni da strada del TT1 con il 750 F1, che nel 1989 subirono una ulteriore evoluzione con il 900 Supersport.
Quando cessò di rappresentare la base del programma corse ufficiale, il Pantah assunse un ruolo diverso e diede origine a tre famiglie complementari di moto da strada: Monster, ST2 e Supersport.
Nella storia Ducati il Pantah ha rappresentato uno dei design più riusciti e longevi.


Sala 6
La Ducati ed il Campionato del Mondo Superbike
Da sempre la storia della Ducati è fortemente legata con quella del Campionato del Mondo Superbike, senza la Ducati, probabilmente non ci sarebbe mai stato un Campionato del Mondo di Superbike.
Infatti l’anno in cui prese il via la competizione, il 1988, la Ducati era parte vitale del neonato Campionato del Mondo e uno dei due costruttori europei che contrastavano lo strapotere giapponese.
Inoltre era l’unica moto a due cilindri.
Ma la Ducati non aveva intenzione di partecipare soltanto per fare numero.
L’azienda italiana ha sempre avuto le corse nel sangue e aveva serie intenzioni di vincere sin dall’inizio, avendo la moto perfetta per farlo: la formidabile 851 quattro valvole e, come pilota, niente meno che l’ex Campione del Mondo delle 500 cc, Marco Lucchinelli, che la porta subito al successo.
Ma la 851, e la 888 che ne derivò, non erano soltanto delle bicilindriche in lotta con le quadricilindriche: esse, infatti, erano contraddistinte da innovazioni tecniche di rilievo, come le testate desmodromiche a quattro valvole e l’iniezione, il tutto contenuto in un telaio tubolare dell’ultima generazione.
Quando la concorrenza usava esclusivamente telai monotrave in alluminio, la Ducati si opponeva al trend generale dimostrando che un telaio tubolare correttamente disegnato poteva essere altrettanto valido, se non addirittura migliore.
L’ex Campione del Mondo di Endurance e stella del GP, il francese Raymond Roche, iniziò a correre per la Ducati nel 1989 e vinse cinque gare tra cui quattro sui circuiti più veloci in calendario, dimostrò che una due cilindri poteva essere qualcosa di più di una semplice concorrente rispetto alle quattro cilindri.
Il 1990 vide l’inizio del dominio Ducati.
Le moto erano affidabili e veloci, tanto da essere soprannominate ben presto “I Bolidi Bolognesi”.
Roche e la Ducati vinsero il titolo, salendo sul podio per ben sedici volte (su ventisei) e conseguendo otto primi posti.
La nuova Ducati c’era.
Il 1991 e il 1992 videro la Ducati conquistare di nuovo il titolo mondiale di Superbike, vincendo con l’americano Doug Polen e con Roche secondo entrambe le volte, a sottolineare la superiorità del progetto della 888.
Nel 1993 ci fu un’altra vittoria per la Ducati, che questa volta gareggiava con l’inglese Carl Fogarty, anche se solo nel campionato marche.
Ma il pilota inglese non avrebbe dovuto aspettare molto per conquistare anche il titolo piloti.
All’inizio della stagione 1994 la Ducati lanciò sul Campionato Mondiale una vera e propria bomba: la 916 di concezione assolutamente innovativa, che all’epoca venne definita la moto più sexy al mondo, meravigliosa da qualsiasi angolazione la si guardasse e completamente diversa da qualsiasi cosa realizzata in passato.
Per una volta, le critiche sono rimaste senza aggettivi per esprimere le qualità di questo bolide.
Pur conservando la configurazione del motore a due cilindri a “L” di marchio Ducati e il telaio tubolare, la 916 era assolutamente nuova.
Dal punto di vista tecnico, era talmente all’avanguardia, che quattro anni dopo il suo avvento, la concorrenza sta ancora tentando di eguagliarla.
Non vi fu quindi da meravigliarsi se la 916 si rivelò immediatamente un grande successo, sia in gara sia su strada.
Se la 851 e la 888 erano state le pietre miliari del successo della Ducati e avevano contribuito in misura affatto trascurabile alla risurrezione mondiale del marchio, la 916 rappresentò la personificazione assoluta di stile, funzionamento e performance.
La Ducati vinse nuovamente il titolo per tre anni consecutivi (due volte con Fogarty e una volta con l’australiano Troy Corser) affermandosi come la moto da battere.
A parte i vincitori dei titoli mondiali, Raymond Roche (1990), Doug Polen (1991,1992), Carl Fogarty (1994, 1995, 1998, 1999), Troy Corser (1996), Troy Bayliss (2001, 2006, 2008) e Neil Hodgson (2003), molti altri piloti famosi hanno rappresentato il marchio nel corso di questi anni. L’elenco è quello delle principali personalità del mondo delle corse, e i nomi che seguono sono soltanto alcuni di coloro che hanno assaporato il successo: Marco Lucchinelli, PierFrancesco Chili, John Kocinski, Baldassarre Monti, Giancarlo Falappa, Davide Tardozzi, Juan Garriga, Carlos Cardus, Jamie James, Stéphane Martens, Mauro Lucchiari, Virginio Ferrari, Fabrizio Pirovano, Andy Meklau, Jamie Whitham, Ben Bostrom, Ruben Xaus ed altri.
Il loro posto nella storia delle corse motociclistiche è assicurato, così come quello della Ducati.


Sala 7
La Desmosedici e il ritorno al MotoGP
Come proiettata in un ambiente quasi irreale, come in un sogno, la Ducati Desmosedici, protagonista della più recente stagione della MotoGP, ha conquistato il cuore dei vecchi e nuovi appassionati di Ducati, nella nuova sala inaugurata durante il World Ducati Week 2004.
Si tratta senza dubbio della più impegnativa e difficile prova che ha visto Ducati Corse impegnata in un ritorno quasi leggendario.
Infatti, oltre trent’anni sono trascorsi dall’ultima volta nella quale Ducati ha partecipato al Motomondiale e, in questi anni, la tecnica che vede impegnate queste moto ha subìto dei cambiamenti impressionanti e le tecnologie più sofisticate hanno reso questi mezzi più simili ad autentici razzi a due “ruote”.
Ducati non si è fatta certo intimorire e, nel giro di poco più di un anno dall’annuncio di volere rientrare nella categoria regina, ha saputo realizzare una delle moto più potenti che hanno mai percorso i circuiti di tutto il mondo.
Fin dal 2003, con questa moto la Ducati ha colto un incredibile carnet di risultati.
Senza dubbio il più importante finora è il Titolo Mondiale in MotoGP, conquistato da Casey Stoner sulla Desmosedici GP7 sul circuito di Motegi, il 23 settembre 2007.
La storia della Ducati si rinnova e continua …

Livio Lodi